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Però la flat tax di Salvini piatta non è

Il governo torna a parlare di flat tax. Allo studio è una misura per le famiglie, che favorirebbe quelle monoreddito. Il gettito perso sarebbe di circa 17 miliardi. Ma il problema più grave è che scoraggia il lavoro, soprattutto quello delle donne.

La fase 2 della flat tax

Negli ultimi giorni è rispuntata la flat tax, un argomento che ha dominato la campagna elettorale per il voto del 4 marzo 2018, ma che poi era passato in secondo piano, superato da quota 100 e reddito di cittadinanza.

Il contratto di governo prevede una quasi flat tax a due aliquote: 15 per cento per redditi fino a 80 mila euro, 20 per cento oltre. La base imponibile sarebbe il reddito familiare, non quello individuale come per l’Irpef attuale. La progressività verrebbe realizzata non solo dalle due aliquote, ma anche da una deduzione che nel contratto di governo in modo non chiaro viene indicata come “3 mila euro sulla base del reddito familiare”.

Pare che tutti siano d’accordo sul fatto che il passaggio dall’attuale Irpef a questa “quasi” flat tax costerebbe moltissimo: almeno 50 miliardi di euro all’anno, forse 60 secondo recenti simulazioni del ministero dell’Economia che non è dato leggere. Su lavoce.info abbiamo già simulato gli effetti dell’imposta. Oltre a costare moltissimo, distribuirebbe in modo molto diseguale il risparmio: per la classe media ce n’è sicuramente uno, ma non è particolarmente elevato, attorno ai mille-duemila euro all’anno, mentre una famiglia collocata nel 10 per cento più ricco risparmierebbe in media 10mila euro all’anno. Al 10 per cento più ricco andrebbe la metà della perdita totale di gettito.

Le dichiarazioni degli esponenti del governo di questi giorni sono però molto chiare: nel 2020 non vogliono introdurre una flat tax così costosa, che resterebbe l’obiettivo da raggiungere alla fine della legislatura. Si tratta invece di una “fase 2” della flat tax al 15 per cento, introdotta per il 2019 per i soli autonomi e imprese individuali con fatturato inferiore a 65mila euro. La fase 2 riguarda le famiglie. A quanto si apprende dalla stampa, pare che il governo voglia per il 2020 un’Irpef così strutturata: se il reddito totale della famiglia è inferiore a 50mila euro, su esso (diminuito di una deduzione non ben precisata) si applica l’aliquota del 15 per cento. Se il reddito totale supera 50 mila euro, nulla cambia e si applica ancora l’Irpef attuale con le sue cinque aliquote ai redditi di ciascun componente.

Quindi nel 2020 avremmo uno stranissimo ibrido, una specie di nuovo animale fantastico: un’imposta a base familiare e con aliquota unica 15 per cento e una sola deduzione se il reddito familiare non supera 50 mila euro, e la solita Irpef su base individuale progressiva con cinque scaglioni e le attuali deduzioni e detrazioni se il reddito totale della famiglia è maggiore di 50 mila euro.

Applicando la strana imposta ai dati Silc, con tutte le cautele necessarie per la scarsità di informazioni, si ottiene in effetti una perdita di gettito attorno ai 17 miliardi, vicina a quanto dichiara il governo. Certo, non siamo a 50-60 miliardi, ma già una perdita di gettito di 17 miliardi è un bel problema, perché il deficit pubblico è in aumento a causa della recessione e per il 2020 si deve trovare copertura alternativa a 23 miliardi di clausole di salvaguardia sull’Iva.

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Anche in questo caso, tuttavia, il problema non è solo quanto gettito si perde, ma anche il modo – da un lato casuale, dall’altro iniquo – con cui viene distribuito il risparmio di imposta.

Chi guadagna di più dal provvedimento? Sicuramente le famiglie con un solo reddito di poco inferiore a 50 mila euro, che oggi è sottoposto all’aliquota marginale del 38 per cento, molto superiore al 15 per cento. A parità di reddito familiare, poi, il guadagno d’imposta è molto più forte per le famiglie monoreddito che per quelle in cui entrambi i partner lavorano (tabella 1). Una coppia bireddito in cui entrambi i membri percepiscono 20 mila euro pagherebbe di più, ma in questi casi assumiamo sia possibile rimanere nel vecchio regime, mentre una famiglia con un solo reddito di 40 mila euro e un partner che non lavora avrebbe un guadagno di circa 5 mila euro. Guadagnano inoltre solo le monoreddito con reddito medio-alto: se c’è un solo reddito di 20mila euro non cambia nulla. In sintesi, per il 20 per cento più ricco e per il 20 per cento più povero delle famiglie cambierebbe poco o nulla, mentre il 60 per cento centrale guadagnerebbe tra i 1.000 e i 1.300 euro all’anno. Si perderebbero però tutte le attuali detrazioni.

Tabella 1 – Irpef 2019 e 2020 per diversi tipi di famiglie

Nota: nella flat tax si ipotizza una deduzione di 3 mila euro per ogni familiare; per l’Irpef attuale consideriamo le detrazioni per tipo di reddito e familiari a carico e il bonus Renzi; assumiamo che una clausola di salvaguardia impedisca di perdere nel passaggio alla flat tax.

Così si scoraggia il lavoro

Ma non ci sono solo il rischio di compromettere in modo irrimediabile il saldo di bilancio e la difficoltà a capire perché il risparmio dovrebbe essere forte per le famiglie in cui lavora una sola persona, mentre è piccolo per i nuclei con più di un percettore. C’è un altro grande problema, che riguarda la distorsione degli incentivi alla produzione di reddito: se si passa all’imposta ibrida, con base familiare sui bassi redditi e individuale su quelli alti, si introduce un enorme disincentivo a superare la soglia dei 50 mila euro di reddito familiare.

Consideriamo per esempio un nucleo di due persone (vedi tabella 2). Il primo membro ha reddito da lavoro dipendente di 40 mila euro, il secondo non lavora. Per questa famiglia l’Irpef oggi è pari a 10.287 euro (escludendo le addizionali locali). Se il partner decide di accettare un’offerta di lavoro per 15 mila euro all’anno, su questo reddito aggiuntivo paga solo 926 euro di Irpef (considerando anche il bonus). L’altro coniuge perde la detrazione per coniuge a carico di 690 euro. Quindi, con l’Irpef di oggi, nel passaggio da 40 mila a 55 mila di reddito familiare l’imposta totale aumenta di 1.616 euro. Per la famiglia, il reddito è aumentato di 15mila euro, quindi l’aliquota marginale è pari a 1616/15000=10,8 per cento.

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Con il sistema previsto dal governo, nel 2020 succederebbe questo: se solo uno dei due coniugi lavora e guadagna 40 mila euro, la famiglia paga con la flat tax 5.100 euro (assumendo una deduzione di 3 mila euro per componente), ma se il partner disoccupato comincia a lavorare e guadagna 15 mila euro, il reddito familiare diventa 55 mila euro e tutti passano a tassazione individuale. Il primo coniuge paga 11.903 euro, il secondo 926, per un totale di 11.903. Il reddito familiare è aumentato di 15 mila euro e l’imposta totale di 6.803, per un’aliquota marginale del 45 per cento. Insomma, se il partner oggi disoccupato è indeciso se cominciare a lavorare o no, con l’Irpef di oggi sa che sui 15 mila euro guadagnati se ne pagherebbero solo 926 in Irpef, mentre con l’imposta mista familiare-individuale nel 2020 l’Irpef della famiglia aumenterebbe di 6.803 euro. L’incidenza media dell’Irpef, se il secondo membro comincia a lavorare, con l’Irpef di oggi scenderebbe da 26 a 22 per cento, con l’imposta mista del 2020 aumenterebbe dal 13 al 22 per cento.

Tabella 2

Possiamo leggere questi dati anche in un altro modo: cosa succede alla famiglia bireddito se il membro che oggi guadagna 15mila euro smette di lavorare? Con le regole attuali la famiglia perderebbe 13.384 euro, con l’Irpef 2020 ne perderebbe solo 8.197. Il secondo reddito da lavoro in famiglia diventerebbe meno importante.

Si ripropone lo stesso problema della fase 1. La flat tax per gli autonomi li incentiva a non dichiarare un fatturato superiore ai 65mila euro, altrimenti passano dal 15 per cento all’Irpef progressiva. La flat tax della fase 2 spinge le famiglie a non superare i 50mila euro di reddito, altrimenti passano dal 15 per cento all’Irpef progressiva. Un incentivo a restare piccoli o a non dichiarare aumenti di reddito, per le donne a restare a casa.

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Dopo il “cambiamento” arriva un po’ di buonsenso?

  1. graziano camanzi

    Troppo complesso. Spiegatelo chi vota.

  2. Henri Schmit

    Il concetto della flat tax sul reddito individuale è un affronto alla ragione, alla costituzione repubblicana, al senso comune di giustizia in tutto il mondo occidentale e a oltre due secoli di normativa fiscale “progressiva” dalle rivoluzioni liberali in poi. Il quoziente familiale è uno strumento diffuso da tempi immemori in tutti i paesi che conosco di esperienza diretta. Negli Stati Uniti dopo la riforma fiscale di Trump esistono sette aliquote diverse (da 10 a 37% da mezzo milione in su, 35% sopra 200k, 32% sopra 150k), in Francia quattro, zero fino a 10k, 45% oltre 150k circa, in Germania la zona franca è circa la stessa, l’aliquota massina dek 42% si applica da 250k circa. In entrambi i paesi si applica un certo quoziente familiare, razionale ed equo, anche per coppie non sposate e con un premio per madri single. Perché la flat tax è iniqua? Perché per guadagnare reddito e godersi (sfruttare economicamente) in pace la proprietà immobiliare, mobiliare, diritti di licenza o diritti d’autore serve uno Stato forte ed autorevole, non gratuito, in alcuni posti ahimè più oneroso che altrove. Le ragioni che nei tempi del boom degli anni 80 e dell’ideologia supply side militavano a favore di minor tasse sui redditi (alti) non valgono più in un mondo dove numerosi redditi sono generati dall’economia digitale e dove le disuguaglianze sono tornate ai livelli della restaurazione (anti-e pseudo-liberale) ottocentesca. In Italia si parla di flat tax per prendere voti e non far nulla.

  3. Pietro Vannoni

    Il ché porterebbe al paradosso che una famiglia con un imponibile più alto (sopra i 50k€) di un’altra famiglia (sotto i 50k€) potrebbe avere un netto più basso! Ma non è una cosa anticostituzionale?

  4. Carlo

    La proposta della Lega ha molto appeal perché va a cancellare molte problematiche che si trascinano da decenni:
    1) l’aliquota marginale dei dipendenti è maggiore dell’aliquota legale;
    2) in presenza di altri redditi la detrazione per lavoro dipendente diminuisce fino a sparire e quindi si crea una situazione incostituzionale perché il riconoscimento delle spese per la produzione di tale reddito sono legate ad altri redditi mentre una partita iva ha la deduzione analitica delle spese;
    3) si elimina la pletora di detrazioni e deduzioni per cui il cittadino anche se non risparmia tanto evita un controllo del fisco e quindi eventuali sanzioni ed interessi di mora. Tale situazione è ancor più rilevante in quanto sparisce la problematica delle detrazioni dei familiari a carico che occorre restituire o per cui si viene sanzionati quando il familiare a carico supera i limiti oppure viene richiesta in misura superiore al 100%;
    4) non essendoci più detrazioni, oneri detraibili e deducibili, in presenza di persone monoreddito sparirà la necessita di presentare la dichiarazione;
    5) si risolve il problema della tassazione dei redditi di capitale che ha assunto connotati anticostituzionali: le obbligazioni in valute emergenti offrono possibilità di rendimento ma solo tramite fondi cioè le banche perché agli investitori individuali l’erario chiede sempre le tasse sulla cedola anche nel caso che l’investimento si chiuda in perdita perché il cambio è sceso.

  5. Daniele

    Inoltre mi domando è possibile tassare con aliquote diverse lo stesso reddito (lav dip sotto 50mila) solo in base a dove sta il reddito familiare complessivo, sopra o sotto una certa soglia?

  6. Giacomo

    Eppure per evitare le distorsioni basterebbe che, superando i 50000, il sistema agevolato aggredisca la parte di reddito sotto i 50000 e la parte sopra vada col vecchio sistema

  7. Per commentare la regressività della flatt ax non c’è di neglio di rendere la parola a colui che illustrò all’Ass. Cost. i 2 commi dell’articolo 53 della Costituzione. DAL VERBALE N° 130 DELL’ASS. COST. DEL 23 MAGGIO 1947
    IL COSTITUENTE ON.le SCOCA SALVATORE E RELATORE ILLUSTRA I 2 COMMI DELL’ARTICOLO AGGIUNTIVO CONCORDATO AL MATTINO CON TUTTI I PARTITI

    Premessa.

    10 settembre 1946

    La 1a sottocommissione riconosce “l’anteriorità della persona umana rispetto allo stato e questi al servizio di quella”
    Favorevoli i rappresentanti di tutti i partiti ma con il dissenso di quelli dell’ Uomo Qualunque e dei Monarchici.

    Con questo accordo iniziò la discussione, su quali diritti e doveri sociali collettivi scrivere nella Costituzione e come lo stato doveva garantirli, e prescritti per il legislatore ordinario a venire.

    Coì anche nel nuovo sistema tributario la persona umana venne messa al centro con la sua vita economica e sociale che è fatta di ricavi e spese.

    Così venne deciso da tutti i partiti :

    «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità, contributiva.

    «Il sistema tributario è informato a criteri di progressività».

    Presidente Terracini. L’Onorevole Scoca ha facoltà di svolgere il suo articolo aggiuntivo, che è del seguente tenore:

    «Salve le esclusioni e le riduzioni d’imposta intese ad assicurare la disponibilità del minimo necessario al soddisfacimento dei bisogni essenziali della vita, tutti debbono concorrere alle spese pubbliche in modo che l’onere tributario complessivo gravante su ciascuno risulti informato al criterio della progressività.

    «Le disposizioni che costituiscono comunque eccezione al principio dell’uguaglianza tributaria possono essere stabilite solo per la attuazione di scopi d’interesse pubblico, con legge approvata a maggioranza assoluta dei membri delle due Camere».

    Scoca. “Onorevoli colleghi, avevo notato che in questo nostro progetto di Costituzione si è trattato di molte cose, e di alcune anche molto analiticamente, mentre viceversa vi era soltanto un accenno alla materia finanziaria, ed ho pensato che una Costituzione, specialmente se discende a certe analisi, non potesse ignorare la sostanza del fenomeno finanziario, il quale è un fenomeno generale, che tocca tutti in misura sempre più notevole.

    Il nostro sistema tributario, nelle sue linee fondamentali, è ancora informato al concetto di proporzionalità, e di una proporzionalità zoppicante. Se pensiamo, infatti, che la massima parte del gettito della imposta diretta è dato ancora oggi dalle tre imposte classiche sui terreni, sui fabbricati e sulla ricchezza mobile, che sono a base oggettiva o reale e ad aliquota costante, mentre comparativamente assai scarso è il gettito della complementare sul reddito globale, che è a base personale e ad aliquota progressiva, abbiamo la riprova più convincente che lo stesso sistema delle imposte dirette si impernia sulla proporzionalità.

    Se poi consideriamo che più dei tributi diretti rendono i tributi indiretti e questi attuano una progressione a rovescio, in quanto, essendo stabiliti prevalentemente sui consumi, gravano maggiormente sulle classi meno abbienti, si vede come in effetti la distribuzione del carico tributario avvenga non già in senso progressivo e neppure in misura proporzionale, ma in senso regressivo. Il che costituisce una grave ingiustizia sociale, che va eliminata, con una meditata e seria riforma tributaria.

    La regola della progressività deve essere effettivamente operante; e perciò nella primitiva formulazione dell’articolo aggiuntivo da me proposto avevo detto che il concorso di tutti alle spese pubbliche deve avvenire in modo che l’onere tributario complessivo gravante su ciascuno risulti informato al criterio della progressività.

    Ciò significa che la progressione applicata ai tributi sul reddito globale o sul patrimonio dev’esser tale da correggere le iniquità derivanti dagli altri tributi, ed in particolare da quelli sui consumi.

    Intanto ho accettato la più sintetica nuova formulazione del capoverso dell’emendamento concordato:

    «Il sistema tributario si informa al criterio della progressività»; in quanto gli attribuisco la stessa portata e lo stesso contenuto.

    Il sistema tributario nel suo complesso deve essere informato al principio della progressività, nel modo concreto che ho chiarito.

    Io penso che l’Assemblea sia di accordo su ciò, perché le Assemblee politiche non si lasciano deviare dalle preoccupazioni scientifiche o pseudo-scientifiche degli studiosi su questo argomento.

    Da un punto di vista scientifico (se di scientifico c’è qualcosa nella materia finanziaria, o nella scienza delle finanze) si può dimostrare, come è stato dimostrato, che, pur partendo da uno stesso principio, è possibile giungere sia alla regola della proporzionalità che a quella della progressività.

    Ma, lasciandosi guidare da un sano realismo, non si può negare che una Costituzione la quale, come la nostra, si informa a principi di democrazia e di solidarietà sociale, debba dare la preferenza al principio della progressività.

    Le dispute dei dotti su questo tema mi hanno lasciato sempre perplesso; non così le osservazioni d’ordine pratico.

    Ho sempre pensato che chi ha dieci mila lire di reddito e ne paga mille allo Stato, con l’aliquota del 10 per cento, si troverà con 9 mila lire da impiegare per i suoi bisogni privati; mentre chi ne ha centomila, dopo aver pagato l’imposta del 10 per cento in base alla stessa aliquota, si troverà con una disponibilità di 90 mila lire.

    È ovvio che per pagare l’imposta il primo contribuente sopporta un sacrificio di gran lunga maggiore del secondo, e che sarebbe equo alleggerire l’aggravio del primo e rendere un po’ meno leggero quello del secondo.

    La progressività deve essere veramente operante

    Si può discutere sulla misura e sui limiti della progressione; non sul principio.

    Non si può negare che il cittadino, prima di essere chiamato a corrispondere una quota parte della sua ricchezza allo Stato, per la soddisfazione dei bisogni pubblici, deve soddisfare i bisogni elementari di vita suoi propri e di coloro ai quali, per obbligo morale e giuridico, deve provvedere.

    Da ciò discende la necessità della esclusione dei redditi minimi dalla imposizione; minimi che lo Stato ha interesse a tenere sufficientemente elevati, per consentire il miglioramento delle condizioni di vita delle classi meno abbienti, che contribuisce al miglioramento morale e fisico delle stesse ed in definitiva anche all’aumento della loro capacità produttiva.

    Da ciò discende pure che debbono essere tenuti in opportuna considerazione i carichi di famiglia del contribuente.

    Sono, questi, aspetti caratteristici di quella capacità contributiva, che la formulazione concordata dell’articolo aggiuntivo pone a base dalla imposizione.

    Nell’articolo da me proposto avevo aggiunto un capoverso che riguarda la intangibilità del principio della generalità dell’imposta.

    Questo principio, già compreso nello Statuto albertino, deve essere meglio assicurato, e meglio garantito, perché non vi siano per l’avvenire

    quelle deviazioni che ci sono state per il passato.

    Se esaminiamo la nostra legislazione, vediamo che, accanto alle leggi normali di imposta, si sono inserite troppe eccezioni, troppe norme singolari, le quali creano differenze di trattamento tra classi di cittadini ed altre classi tra varie categorie di contribuenti lesive dei principi di uguaglianza e di solidarietà sociale presenti in questa prima parte di Costituzione, e tra le varie località del territorio dello Stato, e rendono ardua la stessa conoscenza della materia.

    Queste gravi mende della nostra legislazione vanno eliminate con una radicale riforma del nostro sistema tibutario.

    l’On. CORBINO ha detto che per attuare la progressività occorre dirigersi verso l’ imposta unica.

    Io direi che non è necessario fare questo per applicare il principio della progressività così come noi lo abbiamo inteso.

    Basta capovolgere la situazione attuale del rapporto fra imposte indirette reali e imposte personali.

    Dicevo prima che oggi il nostro sistema tributario è imperniato sulle imposte su beni e consumi ad aliquota proporzionale e che l’imposta personale che è di carattere progressivo è comparativamente una ben minima cosa.

    Si deve mantenere le imposte indirette su beni e consumi anche come base di accertamento del reddito globale personale nella sua consistenza effettiva (metodo recepito dalla legge delega di riforma tributaria 825/71 alla quale non sono seguiti i relativi decreti attuativi n. d. r.).

    Per tal modo si potrà rispondere al principio della capacità contributiva ed al criterio della progressività che diventerà la spina dorsale del nostro sistema tributario senza fare sparire l’imposte indirette e senza attuare l’imposta unica.

    Alleggerendo la pressione delle imposte proporzionali, che colpiscono separatamente le varie specie di redditi, avremo margine per colpire unitariamente e progressivamente il reddito globale personale”.

    Pres. Ass. UMBERTO TERRACINI:
    pongo in votazione la formulazione dell’articolo presentato dagli On. SCOCA, MEDA ed altri accettato dalla commissione:
    1) Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.2) Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.

    E’ approvato all’unanimità.

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