Il governo vuole fare un regalo agli stabilimenti balneari

Sarà rinviata di altri 15 anni l'applicazione della "direttiva Bolkestein", che obbliga lo Stato a mettere a gara le concessioni per le spiagge invece che affidarle sempre agli stessi

(ANSA/LUCA ZENNARO)
(ANSA/LUCA ZENNARO)

Il ministro dell’Agricoltura e del turismo, il leghista Gian Marco Centinaio, ha annunciato che in Senato è stato raggiunto un accordo per sospendere per altri 15 anni gli effetti della cosiddetta direttiva Bolkestein sugli stabilimenti balneari. Significa che gli imprenditori che gestiscono spiagge e bagni potranno mantenere le loro concessioni – ottenute a prezzi spesso molto bassi – senza il rischio che queste vengano messe a gara. «Oggi posso finalmente dire che per il mondo balneare siamo riusciti a muovere qualcosa e portare a casa la prima vittoria», ha detto Centinaio, ricordando che da anni la Lega si batte contro la messa a gara delle concessioni pubbliche per balneari e altre categorie.

In un comunicato, la Lega ha detto di essere al lavoro per estendere la sospensione anche ai venditori ambulanti che occupano spazi pubblici. Anche se dal Movimento 5 Stelle la reazione all’emendamento è stata più tiepida (in passato però anche il Movimento si era schierato a favore degli ambulanti e contro la Bolkestein), sembra che la sua approvazione non dovrebbe incontrare difficoltà. Forza Italia ha già detto che voterà l’emendamento e anche alcuni esponenti del PD si sono espressi a favore. In altre parole, la direttiva Bolkestein è considerata una causa di problemi per quasi tutto l’arco parlamentare.

La direttiva in realtà riguarda gli stabilimenti balneari soltanto in maniera indiretta. Il suo obiettivo, infatti, è stabilire la parità di tutte le imprese e i professionisti nell’accesso ai mercati dell’Unione Europea. Per questo stabilisce tra le altre cose che servizi e concessioni pubbliche debbano essere affidati ai privati tramite gare con regole equilibrate e pubblicità internazionale. Approvata nel 2006, quando la Commissione Europea era guidata da Romano Prodi, la direttiva Bolkestein è stata il frutto di lunghe e difficili trattative e il risultato finale ha lasciato molti insoddisfatti.

Soprattutto in Italia, la direttiva è accusata di riguardare una serie di ambiti troppo ampia. In particolare, sostengono i critici, non avrebbe senso che le concessioni balneari o gli spazi demaniali dove parcheggiano gli ambulanti vengano messi a gara, per di più con visibilità internazionale. Questi ambiti specifici andrebbero gestiti dai singoli paesi nei modi che preferiscono. Curiosamente lo stesso ex commissario europeo olandese che diede il nome alla direttiva, Frits Bolkestein che oggi ha 85 anni, è d’accordo con questa interpretazione.

Non si conosce con certezza il numero di imprese balneari italiane e il numero di addetti che ci lavorano. I dati diffusi dalle stesse associazioni di categoria parlano di 30 mila imprese e circa 100 mila addetti. Queste imprese sorgono su spiagge che sono parte del demanio pubblico: una proprietà dello Stato che non può essere venduta ma soltanto data in concessione, cioè in affitto. I proprietari di stabilimenti balneari hanno goduto per decenni di rinnovi delle concessioni quasi automatici e di canoni di affitto molto bassi (in genere pochi euro al metro quadro). In alcuni casi i “bagni” sono gestiti dalla stessa famiglia sin dall’inizio del secolo scorso, in virtù di un patto non scritto: in cambio di concessioni infinite e affitti molto bassi, le imprese balneari avrebbero investito nelle spiagge costruendo strutture ricettive e incentivando così il turismo. L’obiettivo è stato in parte raggiunto: l’Italia oggi gode di un litorale ricco di servizi, ma dove i prezzi sono molto alti e le spiagge libere sono rare. Inoltre, negli anni diversi stabilimenti balneari sono stati sequestrati per ingerenze e infiltrazioni della criminalità organizzata.

Con l’approvazione della direttiva Bolkestein questa situazione sarebbe dovuta cambiare. Le concessioni dei balneari avrebbero dovuto essere messe a gara, potenzialmente cambiando la proprietà di decine di spiagge, aprendo il settore alla concorrenza e migliorando i servizi per i cittadini, ma causando grossi problemi per gli imprenditori che avevano ottenuto le concessioni da poco e non erano ancora riusciti a rientrare dell’investimento iniziale. Il governo Berlusconi, nel 2010, pensò di risolvere il problema stabilendo una proroga automatica per tutti i concessionari fino al 2015, in modo da dargli cinque anni per ammortizzare i loro investimenti e così limitare le perdite per coloro che avrebbero eventualmente perso le concessioni.

Ma nel passaggio tra decreto e conversione in legge, gli obblighi di mettere a gara la concessione furono attenuati. Di fatto, ai balneari venne garantito una sorta di rinnovo automatico, che è esplicitamente vietato dalla Bolkestein. Nessuno lo comunicò alla Commissione Europea, che vedendo il testo originale del decreto legge aveva ritirato la procedura di infrazione aperta contro l’Italia. Ci furono incomprensioni e pasticci ma alla fine la Commissione chiuse un occhio e non riaprì la procedura d’infrazione. Nel frattempo, contro l’opinione del governo Monti, che nel frattempo era subentrato a quello Berlusconi, nel 2012 il Parlamento prese un altro po’ di tempo per i balneari, prolungando le concessioni di altri cinque anni, dal 2015 al 2020.

Anche se queste norme non furono oggetto di una procedura di infrazione, rimangono comunque in contrasto con la legislazione europea. Nel 2013 due consorzi di comuni – uno in Lombardia, sulle rive del Lago di Garda, l’altro in Sardegna – decisero di mettere a gara alcune concessioni perché non erano soddisfatti del servizio offerto dai detentori dell’epoca. I balneari fecero causa, perché ritenevano di essere protetti dalle nuove norme del governo; i comuni, dal canto loro, dissero che la Bolkestein aveva la precedenza sulle leggi nazionali. Il caso finì al TAR e da lì alla Corte di Giustizia Europea, che a luglio 2016 ha dato ragione ai comuni, stabilendo che la legge italiana è in contrasto con la normativa europea e quindi le spiagge devono essere messe a gara.

Se il nuovo emendamento voluto dalla Lega sarà approvato, i concessionari non dovranno più preoccuparsi di un’improvvisa messa a gara dopo il 2020, ma i singoli concessionari rischiano comunque di essere trascinati in lunghi contenziosi giudiziari che – se portati ai massimi livelli della giustizia europea – finiranno con lo stabilire che le concessioni devono essere messe a gara, come è accaduto ai balneari del Lago di Garda. L’altra conseguenza sarà che questa volta l’Italia subirà con ogni probabilità una procedura di infrazione. Secondo il ministro Centinaio c’è «il 99 per cento di possibilità» che accada. Se si arriverà a una multa per il nostro paese – tra anni, visti i tempi della giustizia europea – il costo sarà probabilmente intorno alle centinaia di milioni di euro, che sarebbero pagati dalla fiscalità generale, cioè da tutti.