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Questo articolo è stato pubblicato il 07 marzo 2014 alle ore 07:26.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 13:56.

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Il dibattito sull'Europa e sull'euro si fa sempre più incandescente. Una componente di questo dibattito è quanto sia costato all'Italia il salvataggio di Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna, e Cipro. Su questo tema circolano le cifre più fantasiose, ed è importante fare chiarezza. In realtà, questi salvataggi hanno aumentato il debito pubblico italiano di circa 58 miliardi, quasi 4 punti di Pil; ma non sono "costati" 58 miliardi, e costeranno, nella peggiore delle ipotesi, pochi miliardi, o forse addirittura mostreranno un guadagno.

Vediamo come si arriva a questa cifra e a questa affermazione.
Il primo salvataggio della Grecia, nel 2010, fu fatto con prestiti bilaterali. L'Italia prestò in tutto 10 miliardi, raccolti emettendo debito pubblico; ma anche gli attivi dello stato italiano aumentarono dello stesso ammontare, pari al credito risultante verso la Grecia.
Il secondo salvataggio greco e il salvataggio di Portogallo e Irlanda furono finanziati prevalentemente attraverso il primo fondo salva stati, l'European Financial Stability Facility. Questo raccoglieva fondi emettendo obbligazioni sul mercato, e prestava il ricavato ai paesi in difficoltà. Il debito così incorso dal fondo andava allocato proquota ai singoli stati. Poiché il fondo ha emesso obbligazioni totali per 180 miliardi, e la quota italiana era del 19,22 per cento, il debito pubblico italiano è aumentato di 34 miliardi; anche in questo caso gli attivi sono aumentati nella stessa misura.

I salvataggi di Cipro e delle banche spagnole sono stati finanziati dal nuovo fondo salva stati, l'European Stability Mechanism. Questo ha ora un capitale di 700 miliardi, di cui 80 versati. La quota italiana del capitale versato, 14 miliardi, grava sul debito pubblico italiano. La quota italiana nel capitale totale, pari a 125 miliardi, è un limite superiore nozionale, ed è circolata, erroneamente, nei media. D'altra parte, perché ha un capitale proprio e a differenza dal fondo salva stati precedente, ESM è considerato entità a sé stante: i prestiti che esso emette non vanno più a pesare sul debito pubblico dei paesi membri.
Tutti i salvataggi, escluso quello spagnolo, sono stati finanziati anche da almeno una di due entità sovranazionali, l'Unione europea e il Fondo monetario internazionale, rispettivamente per 44 e 76 miliardi.
Formalmente, in entrambi i casi il credito era garantito dal bilancio delle due istituzioni, ma in ultima istanza dai loro paesi membri. Utilizzando la quota italiana nelle due istituzioni, si può calcolare che l'Italia si è "accollata" un debito implicito rispettivamente di 5 miliardi e 2,5 miliardi.
In totale, i salvataggi dei cinque stati hanno dunque aumentato il debito pubblico italiano di 58 miliardi, poco meno di 4 punti di Pil, e quello "implicito" di 7,5 miliardi. Per ora, tuttavia, i salvataggi non sono "costati" niente, poiché a fronte del debito vi è un credito di pari ammontare. Se i prestiti verranno ripagati in toto, l'Italia potrebbe anche guadagnarci, perché i tassi pagati dai fondi salva stati (che hanno una tripla A) sulla propria raccolta sono parecchio inferiori a quelli pagati dall'Italia sul suo debito, mentre i tassi sui crediti dei fondi salva stati sono ben maggiori del costo della raccolta.

Se anche qualche debito non venisse ripagato, il "costo" per l'Italia sarà, verosimilmente, di pochi miliardi.
Tutto questo però non significa che le condizioni dei prestiti remunerino accuratamente il rischio che l'Italia si è accollata: dopotutto, la Grecia è stata finanziata a tassi ben inferiori a quelli a lei disponibili sul mercato. Ognuno avrà la propria opinione se sia valsa la pena accollarsi questo rischio.
roberto.perotti@unibocconi.it
Roberto Perotti coordina un gruppo di lavoro della segreteria di Matteo Renzi sulla spesa pubblica.
Il contenuto di questo articolo rappresenta le idee personali di Roberto Perotti e non è stato in alcun modo sottoposto alla visione né tantomeno al vaglio preventivo di alcun componente del gruppo di lavoro o della segreteria

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